mercoledì 29 aprile 2009

ONDA SANA PARTECIPA E INVITA A PARTECIPARE AL FESTIVAL “ART E SOUL”

La seconda edizione del festival si propone in una veste aggiornata. Tra il 2 e il 3 maggio numerosi gruppi si alterneranno sul palco, dai nostri cari amici 16Bit a una delle giovani cantanti più promettenti della scena artistica: Beatrice Antolini (sarà anche sul palco del “concertone” del primo maggio a Roma!). Quest’anno però oltre ai concerti ci saranno video-proiezioni, mostre di quadri e foto.
Insomma “Art e Soul” vuole essere un festival a tutto tondo, completo. Un festival che guarda al passato (ricordiamo che è in onore di Mike Martone) ed anche al futuro poiché promuove l’arte e la cultura che i giovani sentono più vicini a sé!

ONDA SANA non solo invita tutta la cittadinanza a partecipare a questo evento, ma sarà presente con un proprio stand in cui sarà possibile firmare una petizione di sensibilizzazione per alcune tematiche ambientali che riguardano Vitulazio.

ONDA SANA infatti si sta muovendo ora sul fronte dell’emergenza rifiuti. Abbiamo fatto una piccola ricerca sulla gestione dell’immondizia a Vitulazio, mettendola a confronto con la realtà di Camigliano. Una tale indagine, i cui risultati saranno mostrati durante il festival tramite volantini, non vuole porsi in polemica con nessuna amministrazione, ma vuole funzionare solo e soprattutto per incentivare una maggiore attenzione al problema rifiuti.
Poiché facciamo questa petizione in un’ottica di collaborazione, auspichiamo che altri vogliano condividere la nostra proposta ed eventualmente collaborare per lo sviluppo di altri progetti.
La petizione la sottoporremo alla futura giunta comunale (qualsiasi essa sia).

Testo della Petizione
“Con la seguente petizione, i cittadini firmatari chiedono alla futura amministrazione del comune di Vitulazio - eletta nei giorni 6 e 7 giugno 2009 - di realizzare entro il primo anno di esercizio dei poteri amministrativi, un corretto piano di gestione integrata dei rifiuti urbani e speciali che segua i punti elencati nella seguente lista:
• Garantire i servizi minimi di raccolta (rifiuti urbani e ingombranti)
• Avviare il monitoraggio sull’abbandono di rifiuti nelle aree periferiche del territorio comunale
• Attivare un piano di pulizia e bonifica delle suddette aree.”

lunedì 27 aprile 2009

RIFIUTI: PROBLEMA O RISORSA? COSTI O GUADAGNI?

Mentre in Campania si iniziano a bruciare i rifiuti da circa un mese, bruciando anche centinaia di milioni di euro, altrove ci si guadagna. Perché questo non accade in Campania? La colpa di chi è? A mio avviso, la colpa è sempre e solo delle Amministrazioni locali e dell’ignoranza in materia di chi le gestisce. Credo che creare decine di posti di lavoro, abbattere le imposte sui cittadini, garantire laute entrate comunali sia un bene comune, specialmente in questo periodo di crisi, tramite progetti d’ispirazione finanziaria ma concretamente ambientalista. Sembra fantascienza eppure non è altro che realtà. Una realtà già realizzata altrove e facilmente realizzabile anche nel nostro territorio. Il tutto potrebbe prendere il volo con la realizzazione di un Centro di Riciclo basato sul cosiddetto “sistema a freddo”. Dati alla mano dimostrano che sarebbero sufficienti appena 5 milioni di euro per garantire, ad un comprensorio di circa 90.000 abitanti, la trasformazione dell’onere dello smaltimento dei rifiuti, in un guadagno certo e sostanzioso, non solo in termini economici (si parla di ammortamento dei costi in soli tre anni dalla realizzazione dell’impianto) ma anche lavorativi e ambientali. Attualmente la Regione Campania stà affidando la “problematica dei rifiuti” allo stoccaggio in discarica e alla combustione , invece il Centro di Riciclo si basa su concetti diametralmente opposti: non problematica, ma opportunità, non rifiuti ma risorse. In pratica i rifiuti sarebbero trasformati in materie prime richiestissime sul mercato, sia per uso agricolo (compost), sia edilizio (sabbie, cementi e asfalti), sia industriale (plastiche, metalli e altre materie prime). L’intento di questo articolo è stuzzicare la volontà politica degli amministratori di tutti i Comuni del nostro territorio, ma soprattutto, informare la cittadinanza sui vantaggi delle avanzatissime tecnologie del sistema a freddo, rispetto alle obsolete, onerose e pericolose tecniche dell’incenerimento. Rispetto al sistema dell’incenerimento, il sistema a freddo impiega un quinto delle risorse per la costruzione dell'impianto ed un decimo del tempo per entrare in esercizio. Risorse facilmente rintracciabili tra gli investitori privati piuttosto che gravante sui fondi pubblici. Inoltre è garantito, un utile di impresa triplicato, coperto da un ciclo di gestione finanziato esclusivamente dai contributi di legge dei Consorzi nazionali di filiera (per il recupero degli scarti industriali). Realizzare la condizione straordinaria di un conferimento a costo zero da parte dei Comuni, dal momento che ,recuperando i materiali ed i relativi contributi di legge, si rigira ai Comuni stessi il contributo di trasporto che compensa il costo di conferimento presso questi impianti. In poche parole: niente più Ta.r.s.u. (Tassa Smaltimento Rifiuti Solidi Urbani)!!! eliminando così alla radice la questione delle discariche (ATTENZIONE le discariche servono per il ciclo di vita dei rifiuti, ma bisogna farne un corretto uso), in quanto si arriva a riciclare oltre il 97% dei rifiuti (ma sarebbe meglio chiamarli “materiali post-consumo”) in più si liberano le risorse accantonate dal GSE ( Gestore servizi elettrici) per le fonti energetiche alternative rinnovabili (ATTENZIONE: argomento da non perdere di vista), promuovendo la diminuzione dell’importazione di petrolio. Il tutto potrebbe sviluppare un’occupazione locale duplicata rispetto alla tecnologia a caldo, data da un ciclo di selezione manuale che impiega circa 100 dipendenti a fronte di circa 10 tecnici in un impianto di incenerimento (stipendiati dal privato e non dagli enti pubblici), evitando i costi, oggi incalcolabili, a carico della collettività per la bonifica ambientale e il servizio sanitario necessario per curare allergie, malattie croniche e per i trattamenti tumorali (specie in un territorio fortemente inquinato come il nostro). Con un’iniziativa simile si produce un’inedita filiera circolare di carattere locale, che coinvolge nel risparmio i consumatori, i comuni, le industrie e le aziende agricole. Infine, a differenza del sistema discarica-inceneritore, il sistema a freddo non ha impatto ambientale e non produce cattivi odori.È importante, a mio avviso, che tutti i cittadini siano correttamente informati su questo tipo di tecnologie, con serie ed efficaci campagne d’informazione, affinché si possa far pressione sugli amministratori per avviare seri studi e non chiacchiere campate all’aria. Oltre a ciò reputo indispensabile un dialogo diretto con gli imprenditori locali e la cittadinanza affinché si possa fare qualcosa di concreto contro la crisi mondiale che ormai ci strangola. Per qualsiasi tipo di domanda sono sempre a vostra disposizione per darvi risposta. Colgo l’occasione per salutare tutti gli amici e i componenti del gruppo ONDA SANA.
FRANCESCO ADDELIO per ONDA SANA

mercoledì 22 aprile 2009

EMERGENZA RIFIUTI





















ONDA SANA ha deciso di muoversi ora sul fronte dell’emergenza rifiuti. Fedele allo statuto e quindi ai suoi intenti, se ne sta occupando con un occhio particolarmente attento al problema locale. Diciamo locale e non solo vitulatino, perché il miglioramento delle condizioni delle nostre campagne è un problema legato anche e soprattutto al fatto che i paesi viciniori non sono esenti da questa piaga. È noto infatti che il ciclo dei rifiuti è particolarmente complesso e che non riguarda un solo paese o una sola città, bensì riguarda più aspetti: dalla raccolta differenziata, ai servizi di raccolta connessi ad esempio ai rifiuti ingombranti (frigoriferi, televisori ecc.) che non vengono prelevati, dalle discariche alle isole ecologiche.
Stiamo innanzitutto cercando di documentare con foto e video la condizione davvero pessima della zona agricola del paese. Ormai non si fa un metro senza incontrare un cumulo di rifiuti di ogni genere che oltre ad essere anti-estetici sono dannosi alla salute, soprattutto di noi che coltiviamo quelle terre, senza pensare che essendo inquinato il territorio i suoi frutti non possono non subirne anche loro delle conseguenze.
Questo però è solo l’effetto ultimo del problema rifiuti. Esso infatti è a monte. È nell’atteggiamento sostanzialmente indifferente delle amministrazioni che ci hanno governato e anche di alcuni cittadini che, incuranti delle sorti del territorio, lo deturpa senza avere alcun problema con la propria coscienza. Ovviamente poi non si deve trascurare il fatto che le organizzazioni criminali e in particolare la camorra, su cui ONDA SANA ha già pubblicato degli articoli, si sono infiltrate in questo campo, peggiorando ed aggravando ancor di più il problema. L’emergenza conviene a molti; fa arrivare soldi; depotenzia e deresponsabilizza le autorità locali a dispetto di poteri sempre più forti di persone non legate al territorio e alle esigenze ed ai bisogni delle popolazioni locali.
Come per il tema camorra, cercheremo anche di sensibilizzare la popolazione verso questa problematica con idee che possano migliorare anche di poco la qualità della nostra vita.


ONDA SANA

lunedì 20 aprile 2009

LA CATASTROFE DEL TERREMOTO

LA CATASTROFE DEL TERREMOTO CI HA MESSO DAVANTI AD UNA TRAGEDIA UMANA E SOCIALE DAVVERO INENARRABILE. DAVANTI A DELLE CASE CROLLATE SU SE STESSE ALL’INIZIO SI RIMANE ESTERREFATTI, SENZA PAROLE. IL DOLORE PERò DEI PROPRI CARI, DEI PROPRI CONCITTADINI, DELLO STESSO POPOLO ITALIANO SUSCITA ANCHE ALCUNE DOMANDE. DOMANDE CHE RIGUARDANO L’UOMO E LA NATUA, O ANCORA MEGLIO LA NATURA DELL’UOMO.
CI SI INTERROGA SUL COME è POSSIBILE CHE CI SIANO PERSONE COSì PRIVE DI COSCIENZA DA PERMETTERE LA PROGETTAZIONE E LA COSTRUZIONE DI EDIFICI NON A NORMA DI LEGGE, EDIFICI ADIBITI A FARE DA CASE-STUDENTI, EDIFICI CHE SERVANO DA OSPEDALI, DA SCUOLE O, Più SEMPLICEMENTE, DA ABITAZIONI PRIVATE.
PURTROPPO NON SI Può TORNARE INDIETRO. LE CASE SI POTRANNO RIPARARE, SI POTRANNO RICOSTRUIRE, PURTROPPO LE VITE UMANE CHE ABBIAMO PERSO CE LE PORTEREMO DIETRO NELLA NOSTRA MEMORIA.
IL VOLONTARIATO E LE DONAZIONI SONO IMPORTANTISSIME MA ALLO STESSO TEMPO VI FACCIO UNA ESORTAZIONE. UNA ESORTAZIONE CHE SERVA INNANZITUTTO A TIRARVI FUORI TUTTO Ciò CHE C’è IN VOI DI BUONO E ONESTO.
SIATE VIGILI, SIATE PARTECIPI DELLA VITA PUBBLICA, CI SONO MOLTE CASE CHE SONO STATE FATTE SECONDO NORME ANTISISMICHE E CHE SONO RIMASTE ALL’IMPIEDI, NON HANNO SUBITO DANNI. A POCHI KM DALLA CASA-STUDENTE CROLLATA CE N’è UN’ALTRA INUTILIZZATA DA DUE ANNI CHE NON HA SUBITO ALCUN DANNO.
È BRUTTO DIRE CHE IL TERREMOTO SIA SERVITO A QUALCOSA, MA è ANCORA Più BRUTTO SE QUESTO TERREMOTO NON è SERVITO A NIENTE. SPERIAMO CHE CHI DI DOVERE VIGILI SUL RISPETTO DELLE REGOLE E CHE NOI STESSI CI IMPEGNIAMO NEL NON VIOLARE LE LEGGI, perché IMBROGLIANDO NON FACCIAMO ALTRO CHE DANNEGGIARE E TRUFFARE NOI STESSI E LE PROSSIME GENERAZIONI.
ONDA SANA

venerdì 17 aprile 2009

GOMORRA Parte quinta: Il ciclo dei rifiuti e le malattie annesse.

L’ultimo capitolo del libro, probabilmente anche il più sconvolgente, è dedicato ad un settore egemonizzato dalla camorra, quello della spazzatura, dell’immondizia, ordinaria e speciale.
I clan campani si sono specializzati in questo settore quando hanno capito che il traffico illecito dei rifiuti era un bacino di denaro immenso. Le zone più colpite dalle discariche abusive sono le regioni del Sud, tra le quali spicca la Campania ed in particolare la provincia di Caserta e la zona di Giugliano, Villaricca e Qualiano in provincia di Napoli, anche detta terra dei fuochi, perché per evitare che le discariche a cielo aperto si riempiano, i camorristi fanno bruciare montagne di spazzatura dai bambini rom per pochi euro.
Il ciclo dei rifiuti sembrerebbe piuttosto semplice. La spazzatura viene comprata a Nord, nel Veneto, nella Lombardia ecc. e portata nelle terre campane, ma non solo. Per gestire tutti i passaggi è necessaria la figura dello stakeholder sempre in connessione con altre figure altrettanto necessarie. In questo vero e proprio circuito vi sono innanzitutto gli imprenditori, i proprietari di aziende che hanno necessità di smaltire i rifiuti speciali che producono. Vi sono poi i chimici, coloro i quali mischiano questi rifiuti tossici con rifiuti normali così da poterli gestire con modalità meno costose ma non propriamente adatte. Una volta che l’immondizia speciale è stata catalogata come immondizia comune viene trasportata al Sud. L’ultimo passaggio è quello degli smaltitori, coloro i quali sono gestori di discariche abusive e non, ma anche semplici proprietari terrieri o di cave che mettono a disposizione le loro proprietà per lo sversamento dei rifiuti. Questo è il ciclo e a tenerlo unito ci pensano, appunto, gli stakeholder. Sono loro che vanno dagli imprenditori mettendo le proprie capacità a disposizione degli imprenditori, dando loro il proprio listino prezzi per lo smaltimento. Normalmente i costi di smaltimento dei rifiuti tossici sono piuttosto almi ma il fatto che gli stakeholder riescono poi a farli passare per rifiuti ordinari e successivamente a trovare luoghi in cui smaltirli porta ad un abbassamento vertiginoso del costo, cosa che porta l’imprenditore ad affidare a loro le scorie delle aziende, senza preoccuparsi più di tanto delle modalità e dell’esito di tale smaltimento.
Saviano mette anche in risalto il fatto che gli stakeholder servono anche a far sì che le aziende, abbassando i costi di smaltimento, riescano a stare sul mercato e addirittura ad espandersi, con la conseguenza di non avere licenziamenti nelle industrie ed anzi di avere sempre nuove assunzioni. Insomma sarebbero una parte importante dello sviluppo economico italiano ed europeo.
Per lo smaltimento dei rifiuti non ci sono solo le discariche, ma anche gli inceneritori, che se da un lato bloccherebbero la compravendita dei terreni destinati ad essere discariche, cosa che dà vita a speculazioni di ogni tipo, dall’altra potrebbe rivelarsi una nuova risorsa inaspettata per i clan , per le infiltrazioni nella sua gestione: in pratica ciò che prima veniva ammucchiato nelle discariche potrebbe poi essere bruciato negli inceneritori.
Naturalmente tutto questo non è indolore per un territorio che è stato completamente devastato. A farne le spese sono sopratutto le persone che abitano questi luoghi:«l’Istituto Superiore di Sanità ha segnalato che la mortalità per cancro in Campania, nelle città di grandi smaltimenti di rifiuti tossici, è aumentato negli ultimi anni del 21 per cento». I dati delle inchieste avviate dalla Procura della Repubblica di Napoli e quella di S. Maria Capua Vetere sui ricavi ci indicano che i proventi che i clan hanno intascato con questi traffici, dalla fine degli anni ’90 ad oggi, sono di oltre cinquecento milioni di euro.
GIANNI CRISCIONE per ONDA SANA

venerdì 10 aprile 2009

GOMORRA Parte quarta: Processo e arresti. Un prete coraggioso (don Peppino Diana)

Ma come per i clan di Secondigliano così per i casalesi gli affari e i troppi morti ammazzati hanno fatto scattare l’attenzione degli inquirenti, attenzioni culminate nel processo Spartacus, iniziato nel Luglio 1998, che porta in carcere molti dei capi, tra cui anche il boss indiscusso Francesco Schiavone: «ventuno ergastoli, oltre settecentocinquanta anni di galera inflitti». Un vero smacco per l’organizzazione ma comunque non una sconfitta assoluta, anzi. È opinione comune infatti che se i più importanti boss sono stati arrestati, ma non tutti (sono tra i più ricercati d’Italia i due latitanti Zagaria Michele e Antonio Iovine, attuali reggitori del clan), il sistema che hanno messo su sopravvive anche ai maxisequestri degli ultimi anni. Come per il sistema di Secondigliano, il reale potere delle famiglie casalesi non è nella potenza militare, che pure è devastante, «ma nella capacità di equilibrare capitali leciti e illeciti». Ed ancora: «i clan non sembrano aver bloccato lo sviluppo del territorio, quanto piuttosto dirottato nelle loro casse i vantaggi».
In terra di camorra spiccano ancor di più le personalità di coloro che la paura non ha fatto chiudere gli occhi e tappare le orecchie. Tra queste persone vi è sicuramente don Peppino Diana, ucciso nel marzo 1994 nella sua chiesa di Casal di Principe. Il suo è stato un sacrificio servito a dare speranza alle molte persone oneste di questi territori. Per contrapporsi al potere della camorra ha usato l’unica arma a sua disposizione: la parola. Ha sottolineato che il suo ruolo non era quello di celebrare i funerali dei camorristi ammazzati o battezzare i loro figli, ma quello di escludere questa gente dalla chiesa. La lettera che lesse durante la celebrazione del Natale 1991, e diffusa da altri preti in altre chiese della zona, conteneva accenni e denunce anche nei confronti del potere politico locale e nazionale; a ricordare che i clan non erano costituiti solo da assassini, ma anche da politici e imprenditori. Insomma il prete tenta con le sue parole di far distinguere meglio ciò che il tempo e le circostanze stanno sbiadendo, tenta di ricordare che vivere una vita evitando il giogo camorrista è possibile, e che il camorrista non può considerarsi un cristiano a cui sarà concesso il perdono senza un reale ravvedimento.
Un ulteriore punto toccato da Saviano è quello riguardante il nostro modo di intendere i camorristi. Sbagliamo a credere che questi malviventi siano dei poveri ignoranti o che vivano isolati dal mondo. Gli elementi culturali cui attingono sono simili ai nostri; i figli dei camorristi frequentano le nostre stesse scuole e università. Questi non sono più semplicemente dei soldati ma ingegneri, medici, avvocati, esperti in economia, in finanza. Soprattutto siamo simili a loro nei film che guardiamo.
Sembra un’esagerazione pensare che nel modo di sparare imitino i divi hollywoodiani, ma non è così; come non è un’esagerazione dire che spesso i ragazzini per darsi un’aria da boss imparano a memoria interi dialoghi del film Il camorrista di Tornatore, vera Bibbia per questi adolescenti.


da GIANNI CRISCIONE per ONDA SANA.

martedì 7 aprile 2009

GOMORRA Parte terza: Armi e soldi (tanti soldi…)

La seconda parte del libro si apre con un capitolo riguardante le armi dei clan, un aspetto importante ma non importantissimo. Le armi più usate sono i Kashnikov, mitra di origini russe, il cui inventore Michail Kalashnikov è fatto oggetto di venerazione da alcuni affiliati. Il motivo di questa glorificazione è in un dato piuttosto sconcertante: «al mondo non esiste cosa, organica o disorganica, oggetto metallico, elemento chimico, che abbia fatto più morti dell’ak-47. Il Kalashnikov ha ucciso più della bomba atomica di Hiroshima e Nagasaki, più del virus dell’HIV…». D’altronde i camorristi a differenza dei mafiosi non cercano di nascondere la violenza di cui sono portatori, anzi fanno proprio il contrario; se la mafia usa le armi solo nei momenti di crisi, per la camorra l’uso delle armi è endemico.
A ben vedere però l’arma più potente per i clan non è il mitra ma il loro impero economico e più specificatamente gli affari che girano intorno al cemento e all’edilizia.
Il clan che più di tutti ha saputo sfruttare questo settore dell’economia è quello dei casalesi, clan che egemonizza il territorio a nord di Napoli, dal basso casertano al Lazio. Capostipite dei casalesi è Antonio Bardellino, affiliato, almeno al principio della sua carriera criminale, direttamente a Cosa Nostra, ma da questa è sempre stato autonomo. Il pentito Carmine Schiavone nel 2005 mette bene in risalto il modus operandi della camorra, attenta solo a fare affari, e quello della mafia che al contrario fronteggia lo Stato ponendosi addirittura come anti-Stato.
Scrive Saviano:«imprenditori. Così si definiscono i camorristi del casertano: null’altro che imprenditori». Imprenditori più spregiudicati del normale ma non criminali, non camorristi.
Nel ciclo dell’edilizia i camorristi sono presenti ad ogni livello, sono loro che vendono cemento alle imprese, sono loro che svolgono il lavoro grazie ai subappalti e sono loro che percepiscono le tangenti sui lavori non direttamente controllati. La grande quantità di liquidi presenti nelle casse del clan li ha fatti investire anche in altre attività, non tutte illegali, agendo anche in simbiosi con imprenditori che non avevano niente a che fare con la camorra, almeno apparentemente. La classica estorsione ad esempio con loro non è più la stessa, ora si manifesta non nella classica tangente da pagare ma nella convenienza che gli imprenditori hanno quando lavorano con le ditte dei camorristi. Questo è ciò che è successo con la Parmalat di Tanzi. I prodotti erano imposti dai camorristi in tutti i territori da loro controllati, con la conseguenza che il clan, visti i gran quantitativi che riusciva a commercializzare, riceveva degli sconti sulla merce che ad altri imprenditori erano negati. Insomma si andava verso un monopolio che porta svantaggi al consumatore e vantaggi al produttore: il produttore è felice perché il suo prodotto è commercializzato su scala sempre più ampia senza avere praticamente nessuna possibilità di concorrenza da parte di altri marchi, il consumatore invece vede in questo modo salire i prezzi che peraltro non possono scendere vista l’inesistenza della concorrenza. La beffa finale è che nonostante Parmalat non abbia mai denunciato di subire pressioni da alcun clan in Campania, in un processo loro comparirebbero come parte lesa avendo subito un ricatto dai camorristi ed inoltre non sono stati loro ad imporre i loro prodotti ma i camorristi stessi. È evidente però che i dirigenti della Parmalat non hanno mai denunciato perché in fondo da questa situazione traevano solo vantaggi, insomma erano felici di poter commercializzare i loro prodotti al sud solo attraverso la camorra.
Se si guarda al rapporto tra l’imprenditore e il camorrista si evince quindi che l’estorsione non è più tale ma è un vero e proprio accordo a posteriori reciproco.
In definitiva seguendo questo schema molte attività dei camorristi non si possono dire illegali (distribuire merci non è illegale), ma nemmeno legali, viste le modalità con cui si ottengono i contratti di distribuzione. Si potrebbero definire para-legali per usare un eufemismo!
Si è detto che le strategie che il clan adotta per fare soldi sono davvero molteplici, infatti vi è ancora un altro settore che genera introiti stratosferici: quello delle truffe. Una per tutte è quella attuata ai danni della Comunità Europea che pagava la distruzione della frutta prodotta in eccesso. La camorra pur dichiarando che ciò che distruggeva era frutta, inceneriva solamente immondizia, traendone perciò un doppio profitto: da un lato gli arrivavano i soldi della Comunità Europea per la frutta che in realtà continuava ad essere venduta e dall’altro inceneriva ciò che avrebbe dovuto dislocare in altro modo.
da GIANNI CRISCIONE per ONDA SANA
gruppoondasana@gmail.com

domenica 5 aprile 2009

GOMORRA Parte seconda: Omicidi e donne di camorra


Tra le tante storie di omicidi raccontate da Saviano, spicca quella di Gelsomina Verde, la cui unica colpa era quella di essere stata la ragazza di Gennaro Notturno, un ragazzino che dai Di Lauro si era poi avvicinato agli scissionisti. La sequestrano, la torturano per carpire qualche informazione sul nascondiglio del suo ex-fidanzato e poi la uccidono, ma per non rendere evidenti le modalità dell’uccisione la bruciano in macchina.
Una vicenda tanto sconvolgente quanto comune in questa guerra, come del resto comuni sono le polemiche successive fatte da Donna Immacolata, moglie di Raffaele Cutolo, che in un’intervista ha il coraggio di affermare che la vecchia camorra non ammazzava le donne, sostenendo quindi la superiorità etica della vecchia camorra rispetto della nuova. Ma come giustamente annota Saviano: «bisognava forse ricordarle che negli anni ’80 Cutolo fece sparare in faccia a una bambina di pochi anni in faccia al padre, il magistrato Lamberti».
Donna Immacolata ci porta a parlare delle donne di camorra, perché al contrario di quanto si possa pensare queste sono parte attiva dei clan e qualche volta sono proprio loro a gestirlo. Saviano parla innanzitutto delle ragazzine che nascono e crescono negli stessi quartieri dove la camorra è spesso l’unico sbocco lavorativo che si presenta ai giovani, e allora la prima loro conquista è quella di fidanzarsi con un ragazzo che riceve già la “mesata” (lo stipendio) dal clan, in modo che anche se il fidanzato viene arrestato è lei a percepire i soldi. «Per molte donne sposare un camorrista spesso è come ricevere un prestito, come un capitale conquistato» .
Oltre alle “spose” di camorristi ci sono da ricordare le vere e proprie donne camorriste, come Anna Mazza colei che è riuscita nell’arco di vent’anni a dominare su Afragola e le città limitrofe. Il suo clan, il clan Moccia, divenne uno dei più potenti della zona, grazie anche al fatto che Anna preferiva più le strategie imprenditoriali che quelle militari. Riuscì persino a legarsi ai casalesi per la gestione e il controllo degli appalti edilizi.
Opposta alla strategia di Anna Mazza è quella dei clan di Quindici nell’avellinese. I due clan egemoni, i Cava e i Graziano, sono in guerra dagli anni ’80, cioè, dal terremoto e dai conseguenti fondi che sono giunti in paese per la ricostruzione. Da allora si sono dati battaglia.
Le donne di camorra quindi per ferocia non sembrano essere molto inferiori agli uomini.
Saviano ricorda purtroppo anche quelle ragazze che malgrado loro cadono in guerre di camorra da cui sono totalmente estranee. È il caso di Annalisa Durante uccisa per sbaglio a Forcella il 27/03/2004 mentre era in giro con le amiche. Sembra assurdo che una ragazzina innocente possa morire per niente, l’unica sua colpa è probabilmente anche la sua unica sfortuna: quella di essere nata in quei quartieri e in quelle strade.
Gianni Criscione per ONDASANA

venerdì 3 aprile 2009

mercoledì 1 aprile 2009

GOMORRA Parte prima: Il porto di Napoli, Secondigliano e ‘o sistema


SULL'ONDA DELLA VISIBILITA' DELLO SCRITTORE ROBERTO SAVIANO E DELLA POPOLARITA' DEL SUO LIBRO E DEL SUO IMPEGNO CONTRO LA CAMORRA, ABBIAMO DECISO DI INIZIARE UNA SERIE DI INTERVENTI, IN CUI PROPONIAMO LA RIELABORAZIONE DI GOMORRA.

Il primo capitolo ci porta immediatamente dentro il porto di Napoli, luogo in cui arrivano tutte le merci che poi saranno commercializzate in Italia e nel resto d’Europa o del mondo. Il porto napoletano appare come un non-luogo in cui le cose che passano devono scomparire in fretta, nulla deve lasciare tracce, la merce non esiste su alcun documento.

Dopo i primi due capitoli che in fondo fanno da cornice al cuore del libro si arriva finalmente al sistema, il nome che i camorristi usano per indicare la loro appartenenza al mondo criminale. Sistema e non camorra, termine divenuto inattuale, che ci indica la complessità ma anche la pervasività del fenomeno: «camorra è un parola inesistente, da sbirro». Il sistema non è un’organizzazione ma un meccanismo, un ingranaggio economico che non si ferma mai.

I camorristi non sono solo coloro che spacciano droga o uccidono persone, sono soprattutto coloro che sono riusciti a fare soldi illegalmente e che riescono a costruire degli imperi economici non sempre illegali. Il sistema di Secondigliano produce e smercia qualsiasi tipo di prodotto, dal tessile allo stupefacente, dall’edilizia alla contraffazione dei marchi. E visto che i reali interessi dei clan non sono più in città si è avuto un aumento esponenziale della microcriminalità a Napoli. La capacità di fare soldi ovunque fa diventare non necessario il controllo del territorio dove si opera. Si è in presenza di una sorta di globalizzazione degli interessi dei clan, il credo dei camorristi ora è il liberismo economico, quello più spinto, senza né regole né freni.

Ma se è vero che i clan guardano altrove per i propri guadagni, è però altrettanto vero che alcuni boss sono penetrati nelle amministrazioni degli enti locali per meglio controllare i flussi di danaro che dai ministeri centrali vengono erogati e ripartiti. È così che «ben settantuno comuni in Campania sono stati sciolti dal 1991 a oggi».

A questo punto è necessario chiedersi come nasce il sistema di Secondigliano. Gli artefici di tale sistema erano stati i Licciardi, Gennaro Licciardi più precisamente, che negli anni ottanta operava in questa zona per conto di Luigi Giuliano, boss di Forcella. Licciardi è stato il primo a capire e a sfruttare le potenzialità della periferia nord di Napoli. Secondigliano venne scelta e trasformata per vari motivi: perché costituiva un serbatoio di manodopera a basso costo inesauribile e poi per i grandi spazi necessari allo spaccio e al trasposto di grossi quantitativi di droga. La mente imprenditoriale dei Licciardi li porta a cambiare anche il modo di estorcere denaro ai commercianti: a questi ultimi si impongono le proprie forniture con il vantaggio che se si paga in contanti si ottengono alte percentuali di sconto. Se l’eventuale indebitamento del commerciante con il proprio fornitore finisce per essere troppo grande, il clan si appropria “solo” indirettamente dell’esercizio commerciale, riducendo il proprietario a semplice stipendiato: non lo esclude dall’attività, in modo da evitare sia passaggi di proprietà sospetti, sia possibili denunce da parte degli esercenti.

Secondigliano è diventata la capitale del commercio napoletano. Ciò ad un prezzo elevatissimo. Morire a Secondigliano, essere uccisi è cosa talmente comune che anche i bambini parlano di come sia meglio morire, se si soffre meno quando si è sparati in faccia o nella pancia. Ma la giovane età non deve sconvolgere, d’altronde le nuove leve vengono arruolate anche a dodici anni, per fare i pusher o per fare i “pali”, cioè quelli che controllano l’arrivo di presenze indesiderate come volanti di carabinieri e poliziotti.


da GIANNI CRISCIONE per ONDA SANA